Le difficoltà del sistema congressuale italiano sono dovute principalmente alla flessione della domanda interna, e sono state accentuate da limiti gestionali e manageriali sia sul fronte pubblico, sia su quello privato, ma anche la mancata vendita di spazi per congressi alla clientela internazionale fa sentire pesantemente la sua parte. Chi organizza congressi sceglie fra destinazioni anche molto distanti e, specialmente in questo momento, più in base al prezzo che alla qualità. L’Italia, anche a causa degli alti costi differenziali delle aziende italiane (servizi bancari, servizi pubblici, costi energetici) e di un’ IVA che arriverà al 23% viene tagliata fuori da chi deve considerare budgets all’ altezza dei tempi, e le aziende congressuali italiane pagano i servizi molto più dei loro concorrenti mondiali.
La sostanziale carenza d’immagine per mancanza di fondi fa sì che spesso le destinazioni italiane non entrino neppure in competizione con le grandi capitali mondiali, mentre in altri paesi l’azione di governo incentiva in maniera significativa l’investimento congressuale. Gli investimenti congressuali (hardware e software) che molti hanno effettuato ha aumentato la competitività relativa di molti paesi, mentre l’Italia invece ha investito poco o niente in palazzi per congressi e ancor meno in software e promozione congressuale. In sintesi, nonostante le recenti iniziative – leggi nuovo convention bureau ecc. – non siamo ancora riusciti ad affermare la marca “Italia congressuale” a livello mondiale, mentre furoreggiano sempre e dappertutto pizza, chitarra e mandolino
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